In questa sezione abbiamo
voluto raccogliere da diversi libri dei passi in cui si parla del nostro
paese in modo dettagliato, oppure con semplici menzioni, a voler comunque
sottolineare la vicinanza culturale di questi testi, e focalizzare il paese
all’interno di un contesto storico e sociale più ampio.
Abbiamo così cominciato a curiosare fra le righe di grandi uomini
della storia quali Francesco De Sanctis , di scrittori dall’ inconfondibile
sensibilità ed eccezionale capacità critica come Raffaele
Nigro, o di attenti incisivi e mai polemici narratori quali Pasquale Festa
Campanile, e messo insieme per voi delle pagine toccanti, malinconiche o
divertenti, piene di poesia o di disincanto, dolci e amare, come il nostro
sud, come Rocchetta.
a cura di Antonella Soldo : antonellasoldo@liberamenteonline.com
UN
VIAGGIO ELETTORALE
Francesco De sanctis, Un
Viaggio Elettorale edizione critica a cura di Toni Iermano, Avagliano Editore,
2003
Una carrozza percorre nel rigido gennaio del 1875, alla vigilia di un difficile
ballottaggio elettorale nel collegio di Macedonia, strade impossibili, attraversa
torrenti e s’arrampica lungo sentieri di fango alla ricerca di paesi
irraggiungibili, sommersi dalla pioggia e nascosti dalla nebbia.
Il candidato al Parlamento Francesco De Sanctis, già ministro della
pubblica istruzione nei governi Cavour e Ricasoli, è il viaggiatore
disincantato che cerca nelle remote terre dell’Alta Irpinia, poste tra
la Valle dell’Ofanto e il Vulture, di spiegare quanto sia necessario
calare l’ideale nel reale, superare i mali e le esasperazioni dei regionalismi,
causa di “guerriciole e gelosie che degenerano facilmente i pettegolezzi
sulla stampa locale”, distruggere i partiti personali, vere e proprie
malattie sociali, e spingere le comunità e la gente onesta fuori dal
fatalismo e verso un alto grado di educazione politica.CENNI BIOGRAFICI
Francesco De Sanctis(Morra Irpino, ora Morra De Sanctis, 1817- Napoli, 1883)
è una delle grandi personalità della cultura europea moderna,
tra i protagonisti della nascita dello Stato unitario e della nuova letteratura
critica. Pubblicò i Saggi critici(1866), il Saggio critico su Petrarca(1869),
la fondamentale Storia della letteratura italiana(1870- 1871), i Nuovi saggi
critici(1874), Un viaggio elettorale(1876), nonché un numero elevato
di scritti e interventi sulla vita politica intellettuale e sociale del nostro
paese. Postumi: Studio sopra Giacomo Leopardi, La Giovinezza, la letteratura
italiana nel secolo XIX.Di seguito proponiamo alcuni estratti dal capitolo
secondo del libro, intitolato Rocchetta la poetica, che oltre ad essere un
piccolo gioiello narrativo è anche l’importante testimonianza
del senso più profondo della teoria politica del De Sanctis. Quando
il ministro brinda a Rocchetta unita e prospera, crede di aver trovato in
questo microcosmo la risposta delle inutili lotte che oppongono comuni contro
comuni, cittadini contro cittadini: l’unione di tutte le forze.
Colpito dall’accoglienza del popolo rocchettano, De Sanctis pronuncia
il discorso che credeva Rocchetta non avrebbe mai dimenticato.
[…] “ Saluto con viva commozione Rocchetta, la porta del mio collegio
nativo. Il luogo dove son nato è Morra Irpino, ma la mia patria politica
si stendeva Rocchetta insino ad Aquilonia. Io vengo a rivendicare la patria
mia. Dopo un oblio di quattordici anni, voi, miei concittadini, travagliati
da un lungo ed ostinato lavoro di parecchi candidati, avete all’ultima
ora improvvisata la mia candidatura, e avete intorno al mio nome inalberata
la bandiera della moralità. Siate benedetti! E possa questa bandiera
esser principio di vita nuova! voi mi avete data una maggioranza notevole.
Eppure quell’elezione gittò lutto nell’anima mia. Io vi
aveva telegrafato: “Bravi gli elettori che intorno alla candidatura
improvvisata inalberarono bandiera di moralità! Auguro a quella bandiera
strepitosa vittoria domenica”. La domenica venne, la vittoria ci fu,
e mi parve una sconfitta. Non sapevo dar ragione di tanto accanimento nella
lotta, e del gran numero di voti contrarii, e di certe proteste vergognose,
che gittavano il disonore su questo sfortunato collegio. E in verità
vi dico, che se quell’elezione fosse stata convalidata, con core sanguinante,
ma deciso, vi avrei abbandonato. Ma benedissi quelle proteste che indussero
Giunta e Camera a decretare la rinnovazione del ballottaggio. Era in questione
l’onor mio, l’onore dei miei elettori. Ed io dissi. Finora sono
stato in Napoli spettatore quasi indifferente di quella lotta. Non debbo io
fare qualche cosa per questi elettori?Non mi conoscono, sono involti in una
rete i menzognee di equivoci. Io ho pure il debito d’illuminarli, di
dire la verità, di togliere ogni scusa agli uomini di mala fede. Ed
eccomi qui in mezzo a voi, miei cari concittadini. Ed ecco la verità.
Il collegio è diviso in due partiti che lottano accanitamente, comuni
contro comuni, cittadini contro cittadini, ed io non sono qui che il prestanome
delle vostre collere e delle vostre divisioni. È così che volete
rendere la patria a Francesco De Sanctis?No, io non potrei mai essere il deputato
di un partito per schiacciare un altro partito; non posso essere lo scudo
degli uni ed il flagello degli altri; io voglio essere il deputato di tutti,
voglio lasciare nella mia patria una memoria benedetta da tutti. Mi volete
davvero? Volete che io passi gli ultimi miei anni in mezzo a voi? Stringete
le destre, sia il mio nome simbolo della vostra unione. Ed io sarò
vostro per tutta la vita”.
[…] dopo cena,mi coricai subito. Sentivo sonno. Ma che sonno e sonno!
Mi passavano innanzi le ombre della giornata. Vedevo l’arciprete Piccoli
a cavallo correre, correre con quel suo cappello a tre pizzi, che mi pareva
sventolassero. Ferma, ferma. E tutta la cavalcata dietro. Come galoppava bene
quel prete! Il povero Alfonso, ch’è il letterato del luogo, tirava
forte le redini e faceva sì e no sul cavallo che poco lo capiva. Un
altro prete mi stava accanto, rubizzo e mezzo secolaresco, con aria sicura,
su di un cavallo che andava passo passo in grave atteggiamento, come uno di
quei cavalli educati da Guillaume. Rocchetta si avvicinava, e quel gruppo
di case in quel chiaroscuro mi parevano uomoni che m’attendessero e
gridassero:
Viva!Le immagini si confusero; ero stanco e sentivo freddo. E mi accoccolavo,
e mi strofinavo le gambe. Mi volsi dall’altro lato, non c’era
verso di dormire. Ed ecco un suono di chitarra giungermi all’orecchio,
con un canto a cadenze e a ritornello, tra gran folla di contadini, che battevano
le mani e mi gridavano: Viva! Bravo Rocchetta, diss’io. Mi accoglie
a suon di poesia. E tesi l’orecchio, ma non potei raccapezzar verbo
di quella canzone. Lungo tempo cantarono e gridarono; forse quella brava gente
avrebbe voluto vedermi, sentirmi. Poi a poco a poco si fè silenzio,
ma quel suono mi errava deliziosamente nell’orecchio. Io mi applaudiva
di quell’accoglienza. E se tutti gli altri comuni rassomigliano a Rocchetta,
chi potrà più separarsi da questo collegio? Che potenza ha la
parola, pensavo, la parola sincera e calda che viene dal cuore! Io conquisterò
colla mia parola tutto il collegio, e la mia conquista sarà un beneficio
lenirà i costumi, unirà gli animi. Ma la voce del buon senso
rispondeva: credi tu di poter fare miracoli?sei ben certo che tu, proprio
tu hai procurata questa riconciliazione? Qui la materia era già ben
disposta. Sarà il medesimo a Lacedonia?e un qualcuno m’aveva
già detto: a Lacedonia non sarà così. Fantasticando,
sofisticando, mi addormentai.
La mattina girai un po’ il paese. Facce allegre e sincere, bella e forte
gioventù. A destra a sinistra, gruppi che mi salutavano. Volli vedere
cantanti e sonatori, e dissi loro che volevo battezzare quel paese così
allegro, e lo chiamai Rocchetta la poetica.
[…] Io mi sentivo purificato. Venuto con un disegno non ben chiaro,
e con molta passione, alla vista di miei concittadini non ci fu in me altro
sentimento, che di riconquistar la mia patria. Essi m’avevano già
conquistato, dovevo io conquistar loro, guadagnarmi i loro cuori. E la cosa
mi pareva facile. Rocchetta la poetica aveva trovato il motto dell’elezione.
Nel partire, serrandosi intorno a me, gridavano:
Tutti con tutti.
Ed io, rapito, risposi:
E uno con tutti.
Era realtà? Era poesia? In quel momento era realtà. Le mani
si levarono. Pareva un giuramento. Tutti ci sentivamo migliori.
RO
Note biografiche
Approdato alla narrativa dopo una lunga esperienza di saggista, Raffaele Nigro
è nato a Melfi nel 1947 ed è attualmente Redattore Capo della
Rai dopo aver diretto dal 93 al 97 la sede Rai per la Puglia. Ha scritto numerosi
saggi e articoli e ha realizzato a partire dal 1979 innumerevoli servizi televisivi
e radiofonici e molti documentari. Ha esordito con saggi e studi sulla cultura
letteraria delle regioni meridionali ottenendo nell’ 81 per Basilicata
tra Umanesimo e Barocco il premio Basilicata per la saggistica.
Da allora ha svolto una intensa attività di promozione culturale e
ha diretto le riviste di letteratura “Fragile”, “Incroci”
e “Inoltre” e varie collane di saggistica e narrativa per alcuni
editori italiani.
Ha scritto per il teatro Abeliano Il Grassiere, Bande, Discarica, Tutti i
colori del Novecento. Nell’86 Hoenstaufen e Il santo e il leone, per
un laboratorio di Giorgio Albertazzi e nel 2002 Suoni luci dalla storia per
Arnoldo Foà.
Ma il successo di Nigro lo ha raggiunto con i romanzi I fuochi del Basento
(premi Supercampiello e Napoli 87) e La baronessa dell’Olivento (che
ha vinto i premi Regium Julii, Frontino Montefeltro e Carlo Levi).
Nel 91, con Rizzoli sono usciti i racconti de Il piantatore di lune (Premio
Latina per il tascabile), cui hanno fatto seguito Ombre sull’Ofanto
(Premio Grinzane Cavour) e Dio di Levante per la Mondadori.
Nel 1996 ha collaborato alla sceneggiatura del film Il viaggio della sposa
di Sergio Rubini.
Con Adriatico, uscito nel 1998, Nigro si è aggiudicato i premi Scanno
e San Felice Circeo. Il romanzo affronta il tema del confronto tra Europa
e Mediterraneo, additando il mezzogiorno d’Italia come il luogo di un
possibile incontro tra culture. Un discorso ripreso nelle favole Desdemona
e Cola Cola e Gli asini volanti.
Nel 2001 per Giuseppe Laterza e Figli esce Diario Mediterraneo ( Premio Cesare
Pavese), nel quale ritorna il tema del mezzogiorno come luogo di incontro
tra l’Europa e il vicino Oriente e della necessità di un parlamento
degli scrittori del Mediterraneo, inteso come microcontinente schiacciato
tra l’integralismo economico dell’Occidente e quello religioso
ed etico dell’Oriente. Temi che riprenderà in Viaggio a Salamanca,
dove l’autore si interroga sulla capacità della scrittura creativa
di svegliare il soggetto addormentato che è nei moderni.
Nel febbraio 2005 è uscito il romanzo “Malvarosa”, pubblicato
da Rizzoli.
Ha curato per il Poligrafico dello Stato nel corso del 2000 l’edizione
critica delle opere di Francesc Berni e nel 2002 il volume Burchiello e altra
poesia burlesca per la collezione “Cento libri per mille anni”,
il cui compito è quello di raccogliere in cento volumi, circa centocinquantamila
pagine, tutta la produzione letteraria italiana dal Medioevo ai giorni nostri.
Collabora a vari quotidiani, tra cui “La Gazzetta del Mezzogiorno”,
“Il Mattino” di Napoli e “Avvenire”,
I suoi romanzi sono tradotti in molte lingue.
I FUOCHI DEL BASENTO
Al centro di questo struggente romanzo corale ambientato nel Sud ( in Puglia,
Basilicata e Calabria tra il 1784 e il 1861) c’è il sogno di
una repubblica contadina. Inserendosi d’autorità nel filone della
grande letteratura meridionalista, i Fuochi del Basento trasforma un’animata
epopea popolare( con rivoluzioni e carestie, guerre ed epidemie, stragi ed
amori, utopie politiche ed epifanie magiche) in un affresco epico e mitologico
che impasta eventi storici ed avventure private, movimenti di rivolta e profezie
religiose, scorribande brigantesche e lotte politiche. Accanto ai personaggi
storici (dai re di Napoli al cardinal Ruffo, da Murat a Garibaldi, da Crocco
a Tommaso Bindi) si muovono quattro generazioni di un’emblematica famiglia
di braccianti: con Francesco che nel 1799 vediamo guidare una rivolta contro
i borboni tra l’Ofanto, il basento e il Crati e Raffaele Arcangelo carmelitano
scalzo con stimmate che nel 1830 fonda l’Ospizio del Preziosissimo Sangue,
con molte donne coraggiose o sventate e molti bambini curiosi e incantati.
Lettore di Salimbene de Adam e dell’Anonimo Romano della Vita di Cola,
Raffaele Nigro trasforma un variegato palinsesto di cronache familiari e d’epoca
in una saga di sangue e di poesia, di eventi surreali e visioni, di dialoghi
con i morti e gli animali, di certami poetici ed esorcismi, di affetti quotidiani
e di devastanti passioni.
[…]Francesco
Nigro a cercare moglie era andato fino a Rocchetta Sant’Antonio. Le
ragazze aspettavano alla fontana o sulla porta di casa. Le intravedeva talvolta
dalle mezzeporte aperte, affaccendate attorno alle madri che sedevano come
paralitiche o con i capelli lunghi tra le dita della capera. La capera esperta
girava come la levatrice di casa in casa, annusava tutte le carni, conosceva
i segreti di tutte le teste.
Scarpe in spalla, pantaloni e camicia del padre, Francesco se n’era
salito per il ponte dell’Ofanto, col vento nelle maniche e il sole di
marzo nei capelli biondastri. Se non fosse stato per la pelle crespa e le
crepe alle mani non lo avresti detto un bracciante. A sentirlo, poi, mentre
la fontana gorgogliava nel lavatoio e le donne facevano ressa con le conche,
i panni e le cantarucce. Lo avresti detto un civile, almeno un artiere. “io
me ne voglio andare in fontanella/ e scegliere mi voglio la più bella/
e quando la più bella l’ ho trovata/ col cuore e con la vista
l’ ho rapita”. Francesco Nigro non si ripeteva mai, aveva nelle
tasche scorte inesauribili di parole e di rime. Le donne ridevano, ritrose
o sfacciate, gli uomini restavano incantati.
Una sera tornò da Rocchetta a San Nicola e disse a mamma Teresa: “Ho
trovato una fortuna, si chiama Concetta Libera Palomba, abita sotto il castello
e puoi mandare a chiederla.
Entrò nella chiesetta di sant’ Antonio in Rocchetta, per sposarsi,
la seconda domenica di aprile del 1784.[…][…] a Rocchetta si dice
che sant’Anna non ha voluto neppure la suocera di zucchero nella sua
casa.
“Mamma Teresa facciamo così?” chiedeva Concetta Libera
nei primi giorni di matrimonio. “sì, sì. Ma aggiustato
in questo modo” e mamma Teresa tirava su i materassi, li gonfiava rimestando
con le braccia nelle frasche. “Al tuo paese che t’ hanno insegnato?
Solo a mangiare?”
Concetta Libera usava sempre il voi per rispetto, era orgogliosa e cominciò
a non chiedere più consigli. Nonna Teresa diceva: “Per il pancotto,
una goccia d’olio forte, due diavoletti e mezza testa d’aglio,
poi versi sul pane bello cotto a parte, nella spasa. A Rocchetta neppure pancotto
cucinate?”
Si contrastavano due cucine, basate entrambe su pochi ingredienti verdure,
erbe selvatiche, granturco, salsa di fichi, acqua, cereali: una barriera.[…]
[…] Anche Francesco Nigro aveva sognato di offrire un viaggio alla sua
donna che non conosceva altri paesi oltre La Rocca, San Nicola d’Ofanto
e Melfi, quando si sa che il mondo è grandissimo, un tavola senza confini[…]
[…] Teresa addolorata, povera com’era venuta, pensava: “In
fin dei conti, è meglio tornare a casa, piuttosto che restare con una
nuova madre che non parla il roccatano”. Ma piangeva lacrime al nerofumo
perché capiva che la sua umiliazione era atroce e nessuno avrebbe potuto
cancellarla come non si cancellano le ferite del vaiolo […]
[…] “Sono cose lontane… Francesco mi incontrò a Rocchetta,
io ero andata a prendere l’acqua e lui disse: “Fiore che prendi
acqua di mattino/ perché non rinfreschi il mio giardino/tu ti sei fatta
bella in una notte / le porte del mio cuore hai tutte rotte/e le hai rotte
tutte in un momento/ bella
LA
NONNA SABELLA
PASQUALE FESTA CAMPANILE, LA NONNA SABELLA a cura di Rosetta Maglione, EDIZIONI
OSANNA VENOSA, 1986
La nonna Sabella è il primo
e, a giudizio unanime della critica, il più riuscito romanzo di Pasquale
Festa Campanile:storia d’ambiente, memoria della terra d’origine
e racconto garbatamente ironico della sua famiglia sullo sfondo di vicende
che si distendono lungo un arco di tempo che dalla spedizione dei Mille si
proietta fino al 1944.
Al centro delle vicende che la vedono protagonista è la nonna Sabella,
dapprima fanciulla caparbiamente schietta, poi giovane donna sicura e imprevedibile,
quando non esita a sfidare il perbenismo della sua famiglia e dell’ambiente_
una cittadina di provincia, Melfi, alla fine del secolo scorso- e ad accettare
di essere bandita dall’una e dall’altro per il suo matrimonio
anticonformista. Uno squisito personaggio di cui l’autore riesce a tracciare
tutte le bizzarre caratteristiche, le strane fisime e le superstizioni che
costruiscono il suo carattere da “commediante”. Dietro questa
maschera si nasconde, però, un personaggio autentico, che fa riscoprire
all’autore i valori veri, primo fra tutti quello della famiglia, della
fedeltà nell’amore così come in qualsiasi altro credo,
e che si rende indimenticabile quando afferma che a spingerla verso il suo
compagno non era stato “altro che amore”, sentimento al quale
tutti i suoi difetti erano estranei. Le paure della nonna Sabella e le sue
strambe risoluzioni ci fanno sorridere e nello stesso tempo cullare in un
tenero sogno, nella cornice dolce e malinconica di un Sud ruvido e avvolgente,
una realtà in cui le condizioni dell’ esistenza sono sempre state
difficoltate dalle condizioni della natura e dalle situazioni di sfruttamento,
sulle quali si costruisce la ricerca di giustizia e l’impegno politico,
ricollegandosi alle vicende della storia d’Italia dopo l’unificazione.
Storia d’ambiente, quindi storia della condizione delle popolazioni
del Sud, criticamente approfondita dalla migliore saggistica meridionale;
“questione meridionale” che si fa racconto incisivo, chiaro, libero
da tentazioni polemiche. Per questo coinvolgimento la sua storia diviene sentimento
e fantasia, si solleva dalla narrativa meridionalistica e dalle sue tentazioni
limitanti, spazia verso piani umani e artistici più ampi.
CENNI
BIOGRAFICI
Pasquale Festa Campanile è nato a Melfi nel
1927. Se ne allontana appena adolescente per trasferirsi a Roma, dove compie
gli studi, laureandosi in giurisprudenza. Ma si indirizza ben presto al mondo
della letteratura e dello spettacolo, collaborando a periodici e quotidiani
con articoli di interesse letterario e cinematografico.
Nel 1957, trentenne, pubblica il primo e a giudizio unanime della critica,
il suo più riuscito romanzo, La nonna Sabella. Felicissimo esordio,
al quale segue, però, un silenzio di circa vent’anni, fino alla
pubblicazione di Conviene far bene l’amore (1957). Silenzio letterario,
tuttavia, perché altri interessi popolano l’attenzione del Festa:
il teatro e soprattutto il cinema, per il quale firmerà sceneggiatura
e regia di oltre un centinaio di film. Come sceneggiatore lega il suo nome
ad una serie di film, nel genere cosiddetto “ commedia all’italiana”,
tuttavia restano a documentare la sua straordinaria duttilità inventiva
e la maturità do un impegno capace di cimentarsi su terreni ben più
ardui della commedia satirica, film di complessa tematica ( Le quattro giornate
di Napoli) o veri e propri capolavori come Rocco e i suoi fratelli e IL Gattopardo.
Dei sei romanzi che vanno ad aggiungersi a La nonna Sabella, significativi
sono quelli che trattano del Cristo attraverso figure laterali: Il ladrone
(1977); il peccato (1980); Per amore solo per amore (1983), quest’ultimo
incentrato sulla vicenda pudica e misteriosamente trepida del rapporto di
una singolare coppia, Maria e Giuseppe. Un romanzo in cui il protagonista,
Giuseppe, come l’altro ne Il ladrone, rappresenta il dramma dell’uomo
moderno combattuto tra la volontà di credere e la difficoltà
di abbandonarsi totalmente alla fede.
Ultima prova narrativa dello scrittore, prima della fine, avvenuta a Roma
il 28 febbraio 1986, La strega innamorata.
CAPITOLO
I
Quando la zia Carmela morì era una caldissima estate, l’uva era
acerba a Melfi, e i fichi ancora pieni di latte.era il 1944, un luglio denso
di vita e di illimitati entusiasmi. Roma era stata liberata da poco e ancora
la gente faceva ala per le strade ai soldati americani: fu l’anno in
cui io rividi il mio paese in Lucania per l’ultima volta.
Vi ero andato assai raramente negli ultimi anni, sempre di Pasqua, nei mesi
che c’era ancora neve dentro i vicoli: in paese, della mia famiglia,
erano restate soltanto la zia Carmela e la nonna Sabella in una vecchia casa
di undici stanze.
Nel ricordo, perciò, pochissime cose di questo paese del sud: le dimensioni
avventurose del viaggio, i nomi remoti e inverosimili di certe stazioni: Cervaro,
Leonessa. Rocchetta Sant’Antonio, Candela. Ma dovrei ritrovare i miei
sentimenti di allora, una sensibilità che non mi appartiene ormai,
o certe direzioni del cuore, per tracciare sommariamente- se possibile- le
linee di quel paesaggio afflitto e senza colori, visto dal treno tra il fumo
delle gallerie e gli umori delle terre al tramonto. […]
[…] mille immagini sollecitano la memoria di un uomo. Ognuna d’esse
racchiude un passato di sentimenti e di affetti: e, a ben capire, una parte
di noi che si proietterà nel futuro. È quello che per ciascuno
conta del posto dove si è nati, le prime cose osservate del mondo,
quella parte del genere umano verso cui il cuore ci abbia subito inclinato.[…]