Rocchetta Sant’Antonio è un paese confinante con la Basilicata e la Campania, ed è situato nell’alto bacino del fiume Ofanto (il più lungo fiume pugliese) nel preappennino foggiano.
Le origini
Si è sviluppato sulla cima di un colle (630 m s.l.m.) attorno ad
un forte "Castel Sant’Antimo", d’origine incerte poiché
lo studioso Cuozzo attribuisce la costruzione del forte ai Normanni nell’anno
1050 mentre secondo Giovanni Gentile, sacerdote e autore della cronistoria
di Rocchetta, la fondazione del paese è opera dei Greco Bizzantini
nell’anno 984. Una cosa è certa, il nome del primo feudatario
"ROBERTO DEL TORPO" il quale regnò dal 1081 al 1120. La
fortezza era di forma quadrata con quattro torri (una di essa ancora in
parte esistente e ristrutturata nel 2006), era contornata da una cinta muraria
con porta ad oriente e con svariate torri (due di queste erano situate dove
attualmente sono erette: la torre dell’orologio e la torre ogivale
del castello D’Aquino).
Toponomastica
Rocchetta Sant’Antonio dalla sua nascita ha assunto diversi nomi:
in origine si chiamava "Oppidum Rocca", Rocce Sant’Antimo",
"Sant’Antimo in Rocca", "Rocchetta di Puglia"
ed infine l’odierno nome Rocchetta Sant’Antonio "
L’Epoca dell’impero Romano
importante luogo strategico (perché abbraccia Lucania, Irpinia e
Tavoliere delle Puglie), era già conteso nel secolo VI tra Bizantini
e Longobardi. La rocca è situata su un tipo di pietra Arenaria che
fu oggetto di scambio nel secolo mille.
Nel territorio rocchettano, e precisamente sulle sponde del fiume Ofanto,
sono presenti tracce della supremazia dell’Impero Romano;. Recenti
scavi in località “Bluglia” hanno fatto rinvenire il
perimetro di un agglomerato urbano risalente al III secolo a.c.. Molto probabilmente
solo le uniche tracce dell’antica città del commercio fluviale
Hercolanum. Questa città viveva, appunto grazie al commercio che
avveniva lungo il fiume Ofanto chiamato dai romani Aufidus. La piccola cittadina
romana vantava anche un prestigioso Tempio dedicato alla dea Venere le cui
tracce sono ormai scomparse, anche se nel territorio non è mai stata
programmata una vera e propria campagna di scavi. Inoltre parlando di romani
e Rocchetta è facile ricordare la "fontana di Pirro" e
il ponte di "Santa Venere". Quest’ultimo costruito sul fiume
Ofanto, era usato dai romani per collegare le tre Regioni, era chiamato
così, appunto perché nei pressi c’era il tempio sopraccitato.
Intorno alla “fontana di Pirro”, invece, regna una leggenda,
ossia si narra che Pirro, sceso dall’Epiria (281 a.C.), con gli elefanti,
per combattere i romani (battaglia avvenuta nel territorio di Ascoli Satriano
a 20 km da Rocchetta), si sia fermato a questa fontana per abbeverare i
grandi pachidermi.
I Dauni e i Sanniti
Ultimamente sono stati ritrovati nel territorio delle tracce di villaggi
neolitici, che dimostrano come la cittadina sia stata popolata fin dall’inizio
della storia dell’uomo, ne sono testimonianze i reperti archeologici
di vasellami e utensili vari d’epoca Dauna e anche delle tracce della
civiltà sannita che spesso si spingeva fino ai monti della daunia
per cacciare. Il terriroio inoltre è disseminato da molti fossili
riguardanti muschi, licheni, crostacei che attestano la morfologia del territorio
che nel corso della storia si è modificata passando da un livello
paludoso ad uno collinare montano.
Medioevo
Dopo un lungo gioco feudale, il paese prese ad estendersi a sinistra e a
destra sul pendio dell’originale collina. Primo a sorgere, fuori delle
mura della vecchia fortezza, fu certo il nuovo castello, edificato da Ladislao
II d’Aquino, Marchese di Corato, che acquistò il feudo da Re
Ferdinando D’Aragona.
Castello
D’Aquino
Il castello fu costruito nel 1507 (forse su progetto di Francesco di Giorgio
Martini), eseguito in pietre calcaree di colore giallo-ocra. Alla sommità
sorge una torre merlata ogivale, unica nel suo genere, che raffigura una
prua di una nave. Ma più che opera di difesa, fu costruito per fasto
della casa d’Aquino. Sulla sua porta d’ingresso, in una lapide
marmorea sotto lo stemma della casa d’Aquino, che raffigura uno scudo
con un polpo e due leoni rampanti, si legge la seguente epigrafe:
Ladislao d’Aquino il giovane
Signore della sottoposta baronia
Avendo comprato questa terra di Rocchetta,
fa costruire questo castello col proprio denaro
nell’anno di salute MCCCCCVII (1507)
Il castello passò alla famiglia Doria, lo stemma della quale è
affisso sulla facciata sinistra della torre ogivale, che dominò per
due secoli (1609-1810). In seguito nel 1849, insieme al monte Alvaro e ad
altri caseggiati del comune, fu venduto alla famiglia Piccolo che ancora
oggi ne è in possesso.
Recenti studi condotti dall’Ass. Culturale LiberaMente grazie al professionale
apporto del Prof. Raffaele Licinio (docente di Storia medioevale all’Università
di Bari) è emersa una verità nascosta sul prestigioso Castello.
Difatti secondo lo studioso il castello mè stato realizzato in due
momenti diversi. La prima parte, ossia il torrione ogivale è certamente
uno dei risultati dell’opera “d’incastellamento “
della Famiglia Orsini che diete mandato proprio a Francesco di Giorgio Martini,
compagno d’arte del prestigioso Leonardo Da Vinci, di realizzare una
serie di fortezze nel meridione d’Italia. Quindi la torre principale
della fortezza cinquecentesca di Rocchetta è molto probabilmente
il risultato di un prototipo di torre di guardia e di difesa dell’artista
Martini. Infatti la conformità è tipica di un nuovo prototipo
di costruzioni militari di fine medioevo molto più forte e compatta
anche per le nuove bombarte inpegate proprio in quegli anni nel settore
bellico. Secondo il Martini, dal punto di vista difensivo, la città
è come il corpo dell’uomo, dove il ruolo della testa è
svolto dalla Rocca, centro motore chiamato a garantire la sicurezza della
collettività. Con la torre ogivale, il Martini volle sperimentare
il prototipo della rocca circolare, partendo dal presupposto che le superfici
tonde erano più adatte a schivare le palle delle temibili bombarde.
E’ percorsa da una rete di anguste gallerie destinate a mettere in
relazione i vari posto di vedetta, secondo uno schema di comunicazione assai
efficace in caso di attacco nemico. Peculiare è il suo puntone triangolare
scarpato, che ricorda la rocca di San Leo (la più conosciuta e celebrata
tra le fortezze del Montefeltro ): per questo è stato ipotizzato
che anche qui i lavori di potenziamento del sistema difensivo del territorio
furono realizzati dal Martini. Ma questo castello non fu mai realmente utilizzato
dagli Orsini, che dopo una campagna di espensione andata a male ritornarono
verso le regioni del nord dell’Italia e quindi la splendida torre
fu venduta con l’intero feudo a Ladislao II D’Aquino che fece
completare la fortezza ampliando il castello con il plesso secondario, e
nello stesso tempo riuscì con molta furbizia ad accaparrarsi tutti
i meriti dell’opera facendo sparire ogni traccia dell’intervento
degli Orsini.
Il Borgo Antico e Palazzo del Seggio
Circa dopo un secolo dalla costruzione della Fortezza, si deve quella del
Sedile (XVI secolo), che aveva come scopo di riunire all’interno importanti
assemblee cittadine. La sua funzione era proprio quella di rappresentare
il potere civico della città, infatti gli archi sono l’emblema
della sovranità.
Parte integrante e cornice stupenda del borgo antico è la molteplice
presenza di Palazzi signorili arredati da stupendi affreschi all’ìinterno
e da portli, balconate e loggette scolpite in pietra raffiguranti o gli
stemmi della casata o figue antropomorfe , si pensa che queste sculture
fossero fatte non tanto per estetica quanto più per allontanare la
sfortuna ed il "malocchio" dalle abitazioni o dall’intera
strada.
Quando la storia diventa leggenda
Il paese, che si dilungò in lungo e in largo, non cambiò solo
la forma bensì anche il suo nome: da Rocce Sant’Antimi divenne
Rocchetta Sant’Antonio (l’odierno nome), grazie ad un eremita
egiziano vissuto dal 252 al 356 d.C. di nome Antonio, il quale (secondo
una storia popolare) salvo il piccolo centro da un attacco barbarico che
sicuramente avrebbe portato alla distruzione del Paese. Secondo la leggenda
Sant’Antonio abate, apparve ai soldati nemici con delle fiamme in
mano sul monte Calvario (all’entrata del Paese) disseminato da tanti
piccoli falò. I soldati, a quella suggestiva visione per timore scapparono
lasciando il paese illeso dalla certa distruzione. Da quel giorno i cittadini
a partire dalle istituzioni, festeggiano (il 16 e 17 Gennaio) quest’importante
avvenimento con una suggestiva e folcloristica gara dei Falò.
La chiesa Matrice
E proprio a Sant’Antonio era intitolata la chiesa parrocchiale (ora
dedicata all’ Assunzione della B.V.M.). Quest’ultima fu edificata
fra il 1754 ed il 1768 (data della consacrazione) e progettata da Giovanni
Mancarelli di Barletta (eseguita poi dagli artefici Silvestro e Sabato Pollice)
per volontà di Monsignor D’Amato. Il tempio è di forma
rettangolare a croce latina avente tre navate suddivise in un’unica
principale, terminante con il presbiterio, e due laterali. All’incontro
delle navate si forma una cupola con degli stucchi policromi raffiguranti
i quattro Evangelisti (artista di Ariano Irpino); ai lati della cupola si
elevano due altari in onore di Sant’Antonio Abate e dell’Addolorata.
Un altro altare dedicato alla Madonna del Cardellino conserva una delle
più preziose tavole custodite in questo tempio raffigurante, appunto,
la Madonna del Cardellino che comunemente era soprannominata con il titolo
di Maria Assunta in cielo, la pala di pregiata manifattura risale al XXVI
secolo ed è considerata una delle più importanti opere dell’intera
regione Puglia.
Tutte e due le navate laterali sono coronate da bellissimi altari con stucchi
e marmi dell’artista Luigi Cimafonte di Napoli – che realizzo
le più importanti chiese e catturali del mezzogiorno d’Italia
e dello Stato Pontificio. A partire dall’ingresso nella navata laterale
destra si possono ammirare gli altari di Santa Filomena, Sant’Antonio
di Padova, La Madonna del Rosario, Sant’Antonio Abate (arricchito
da stucchi e bassorilievi che ritraggono il miracolo del Santo), e San Vincenzo,
nell’altra navata si possono apprezzare gli altari di San Pasquale
(il quale custodisce una bellissima statua di legno), la Madonna del Cardellino
e l’Addolorata. La sacrestia e corredata di un arredo ligneo con banchi
in noce chiara, di tardo barocco realizzati da L. Villani nel XVIII, nel
minuzioso arredo è innestato unorologio a pendolo, in più
si possono scrutare sulle quattro pareti abbellite da stucchi le settecentesche
tele ritraenti la Nascita di Maria, la Deposizione di Gesù (Pietà),
Mons. Onorato e D’amato ed un mezzo busto ligneo di Sant’Antonio
Abate. Particolare e pregiato l’Ecce Homo di Nicola Brudaglio, la
scultura lignea di scuola napoletana risale al settecento ed è minuziosamente
scolpita con particolari e pitture cromatiche di notevole impèortnaza.
Importnate anchela collezione di vasi sacri e di componenti liturgici. Tra
questi una pisside d’argento del 600 cesellata a mano e raffigurante
le fasi della passione, una croce professionale in argento di scuola locale,
una croce in osso avorio e argento e molteplici calici, ostensori e reliquiari
che fanno da cornice all’imponente abside. Splendida la facciata ripartita
in multiple lesene, (risalto decorativo a forma di colonna), con parte centrale
concava e dotata di pregevole portale. Giù in fondo alla Chiesa,
soprastante all’abside, compare un meraviglioso organo con cantoria
della seconda metà dell’700, in basso, dietro all’altare
maggiore, vi è il coro di noce nera risulta una delle opere più
riuscite di Liberato Villani, costruito nel 1790, il pulpito è abbinato
all’organo e di colore dorato. Ai lati dell’organo ci sono due
tele raffiguranti la nascita di Gesù e la disputa dei dottori nel
tempio. Prezioso è l’arredo marmoreo, composto da splendide
balaustre con cesto di fiori, due acquasantiere e altari realizzati da Luigi
Cimafonte di Napoli, particolare è l’altare maggiore in marmo
bianco con un bellissimo tabernacolo. A metà navata sinistra si apre
la cappella del Sacramento che ingloba la torre campanaria cinquecentesca
appartenente alla precedente chiesa della quale sono stati ritrovati dei
resti durante gli ultimi restauri. Nella cappella affrescata si possono
ammirare delle splendide tele riguardanti la Pentecoste, San Francesco di
Sales e, l’Ultima Cena. Dopo il terremoto del 1980 durante dei lavori
di restauro sotto la tela dell’ultima cena è sta rinvenuta
una copia della stessa realizzata precedentemente e poi coperta perché,
probabilmente non piaceva all’autore. Grazie al lavoro della soprintendenza
ora tutte e due le tele, “la bella e la brutta copia” (così
sono state ribattezzate) possono essere ammirate all’interno del tempio
sacro. Il campanile è del 1588 eseguito da Angelo Mancini, per volontà
del vescovo matematico Marco Pedoca (al quale è intestata la piazza
sottostante alla torre campanaria), la torre ha un corpo ottagonale coronato
da una cupolina cuspidata maiolicata. Annesso alla chiesa vi è un
piccolo oratorio chiamato "chiesuola" che serviva come luogo di
riunione delle Confraternite ancora esistenti sotto il nome di confraternita
della B.V.M. delle Grazie e dell’Immacolata Concezione.
Palazzi signorili
Nei pressi della Matrice c’è un palazzo, appartenente alla
famiglia Bartimmo, che conserva uno stupendo portale settecentesco ed una
loggetta a tre archi. Più in là, e precisamente in via Giuseppe
Sciretta, esiste un palazzo risalente al settecento in parte ristrutturato
che conserva anche una meravigliosa loggetta a tre archi con, al culmine
dell’arco centrale, un angelo in pietra.
Chiese conventi e tempi rupestri
Una piccola cappella sorge sul cucuzzolo del paese, dedicata a S. Giuseppe,
che conserva una tela del seicento raffigurante la Sacra Famiglia e le splendide
statue di S. Lucia, Santa Maria di Costantinopoli, San Giuseppe, Santa Maria
Incoronata. Alla destra di questa cappella vi è un portale di casa
Mattia o Giannettti databile al XVII secolo.
Verso il rione "Pescarella", invece, possiamo trovare una chiesa
intitolata alla B.V.M. delle Grazie con un bellissimo portale stile tardo
barocco, al suo interno si possono ammirare tre stupende tele riguardanti
la Santissima Trinità e la B.V.M. del Carmine ed una raffigurante
Maria Vergine delle Grazie. In stato di restauro, vi è una piccola
chiesa dedicata a S. Giovanni, a navata unica e con una semplice facciata
con un rosone in pietra, qui in passato era conservava il meraviglioso busto
ligneo di Cristo alla colonna firmato da Antonio Nicola Brudaglio (ora situato
nella Chiesa Madre). Annesso alla Chiesa c’è il Palazzo Bortone
si pensa che prima di essere una residenza signorile fosse un convento.
Del palazzo si può ammirare il portale e la loggetta oltre ai caratteristici
finestroni ovali. Un’altra Chiesa è collocata verso il centro
del paese dedicata alla Immacolata Concezione (XVIII secolo), con una stupenda
facciata ed un portale simile alla matrice, all'interno è conservata
una tela dell’artista Scogniamiglio raffigurante Rocchetta a fine
settecento. In primo piano c’è Cristo Risorto, alla sua destra
la Beata Vergine Maria del Pozzo che afferra per mano Giuseppe Mastrostefano,
il povero contadino miracolato, e sua moglie Olimpia Di Tuccio; invece alla
sinistra di Cristo ci sono inginocchiati i due Santi protettori del paese
ossia S. Rocco e Sant’Antonio Abate. Volgendo lo sguardo nei dintorni
del paese, si scorge un piccolo convento dedicato a S. Maria Annunziata
(S. Maria di Giuncarico) appartenente ai benedettini collegati all’abbazia
di Cava in epoca medievale. Nel piazzale antistante si erge una Croce con
scultura su ambo le facciate di Cristo Crocifisso e la Vergine databile
al XVI secolo. In passato a Rocchetta esistevano molte chiese rurali ora
inesistenti. Possiamo però ricordare le più importanti ossia
la cappella della Pietà, e la Chiesa dedicata a S. Lorenzo, situata
sul monte omonimo; la Chiesa sulla collinetta di S. Pietro. Su quest’ultimo
monte sono ancora presenti delle grotte in cui venivano deposti i morti
durante le pestilenze. Inoltre si pensa che le stesse possano essere l’antica
cripta di una chiesa e forse proprio i sotterranei della Chiesa di San Pietro.
Uno dei conventi più antichi è quello di S. Stefano. Edificato
in un punto strategico, era condotto e amministrato dai monaci facenti parte
dell’abbazia di Cava; S. Stefano confina ad oriente con il fiume Ofanto,
a settentrione con il demanio di Candela ed è immerso in un folto
manto boschivo che lo proteggeva dalle insidie del tempo. Dall’altra
parte del paese si può scorgere una cappella rurale in onore della
Madonna del Pozzo, protettrice di Rocchetta che nel 1709 realizzo molteplici
miracoli grazie al’acqua donata miracolosamente a Giuseppe Mastrostefano,
un contadino di rocchetta che nella torrida giornata del 24 agosto pregò
la santa vergine perché assetato e stremato. Da qual momento ogni
anno nel mese di agosto i cittadini di rocchetta si spostano in pellegrinaggio
verso la cappella per poi portare in processione l’0effige settecentesca
della madonna del pozzo. Suggestiva è anche l’accensione delle
stoppie che fa da cornice alla processione e che in passato serviva per
far luce ai pellegrini durante la processione notturna.
Popolazione
Il paese dopo il picco massimo nel settecento (circa 7000 abitanti) subbi
un flusso migratorio che a ridoto la popolazione a circa 2000 abitanti.
Tra le cause , la mancanza di sviluppo e di lavoro e la necessità
di trovare condizioni migliori altrove. La maggior parte di emigranti si
concentrarono nella provincia di Torino e precisamente a Collegno, e per
questo motivo che da qualche anno Collegno e Rocchetta hanno stretto un
patto di gemellaggio che servirà alle due popolazione per uno sviluppo
comune. Tra i cittadini illustri nati a Rocchetta, non si può non
ricordare Maria Teresa Di Lascia, che nel 1995 con il romanzo postumo "Passaggio
in Ombra" vinse il Premio Strega.